Lieviti Selvaggi vs. Lieviti Selezionati

Nei primi due week end di febbraio si sono alternate a Roma due suggestive degustazioni : “I vignaiuoli naturali a Roma “ di Tiziana Gallo e “I migliori vini d’Italia” di Luca Maroni. Due eventi molto interessanti che si sono svolti in splendide location. La prima nelle sale dell’Hotel Excelsior di Via Veneto e la seconda nel complesso monumentale di S. Spirito in Sassia a San Pietro. Da una parte i vignaiuoli “naturali” dall’altra quelli più “industriali”. Concimazione naturale con sovescio e letame contro la chimica, taglio meccanico e macerazione sul posto dell’erba contro diserbante, disinfestazione con acqua ramata, zolfo ed aglio contro preparati chimici e/o antibiotici ed infine la madre di tutte le divisioni : lieviti autoctoni/selvaggi contro selezionati.

Ma deve essere proprio così? Questa la domanda che mi è venuta spontanea incontrando nella prima manifestazione alcuni vignaioli bio dinamici e degustando i loro vini e nell’altra alcuni produttori di vini estremamente sofisticati. Ad esempio uno chardonnay da vigneti del Centro Italia fermentato ed affinato in barrique nuovo per circa 18 mesi, molto simile se non identico a quello fatto in Borgogna. Ora, dico subito, a scanso di equivoci, che i vini che ho assaggiato nelle due manifestazioni erano tutti di buono/ottimo standing nei loro generi e quindi nulla da dire in merito e sul lavoro dei produttori. Mi domando però il perché di queste estremizzazioni che da un lato ipotizzano il ritorno ad un idilliaco (ed inesistente) vino naturale, e dall’altro ad un prodotto costruito a tavolino a prescindere magari dall’uva di partenza e dal territorio.
Partiamo da un dato di fatto incontrovertibile: il vino, come il pane, e come altri cibi ottenuti da fermentazioni non esistono in natura e sono prodotti dell’uomo. L’uva lasciata a se stessa se va bene produce aceto così come acqua e farina non producono spontaneamente pane. Il lievito che si usa per il pane, anche il cosiddetto “madre” ha subito un processo di selezione indotto dall’intervento dell’uomo che, nel tempo, ha privilegiato determinati lieviti in dipendenza dei gusti e delle usanze del proprio specifico territorio. Abbiamo, infine, sempre selezionato terreni, colture, specie , animali, e così via ottenendo in genere i migliori risultati quando siamo riusciti a sintetizzare metodi e mezzi di produzione moderni con la tradizione. Non c’è dubbio ad esempio che l’introduzione dell’acciaio nella vinificazione giovi sia ai produttori naturali che non e che l’aggiunta di dosi programmate di anidride solforosa sia molto meglio del vecchio ed incontrollabile “zolfanello”.
Tutto ciò per dire che, la via migliore sta, a mio avviso, nel trovare il giusto equilibrio tra produzione e rispetto del territorio e delle sue caratteristiche, tra chimica e natura, tra specificità e standardizzazione dei prodotti, soprattutto in Italia in cui la ricchezza enologica è costituita dalle mille varietà di vitigni e cloni (a proposito anche questi “selezionati” nel tempo!). Quindi ben vengano vini naturali magari fatti in cantine modernamente igienizzate, con anche una minima dose di solforosa che sanifichi e stabilizzi e filtrati in maniera tale da evitare lo sgradevole retrogusto di “feccina” che tanto spesso si trova in questi vini. Dall’altro lato ben vengano anche i vini fatti con lieviti selezionati che rispettino però territorio, clima e cultura del luogo di produzione o di provenienza delle uve. No invece, soprattutto per l’Italia, ai vini costruiti industrialmente a prescindere da territorio, clima, uve, etc. No quindi allo standard estremo !
Non sono un esperto di norme e regole del settore né di mercato del vino ma quello che auspicherei è lo sviluppo di coltivazioni sempre più “bio” ma sempre più all’avanguardia nella tecnologia vinaria. Al contempo mi piacerebbe l’uso di lieviti “selezionati” ottenuti però da quelli presenti sul territorio, che esprimano quindi al meglio le caratteristiche dell’uva e del vino locali. In tal senso sarebbe auspicabile che sia i Consorzi che il Pubblico incentivino, anche finanziariamente, investimenti in tecnologia e la selezione di lieviti locali in modo da tutelare anche in questo campo varietà, diversità e soprattutto qualità del prodotto, armi che da sempre hanno costituito la forza del made in Italy e la gioia dei consumatori.

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